ANDIAMO CON ... CHIARA E FRANCESCO

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Un nuovo anno!
Nuove prospettive all'orizzonte, auguriamo dal profondo del cuore che queste possano realizzarsi per tutti! L'anno appena trascorso ha visto e accompagnato questa crisi mondiale che penalizza i deboli, senza nessuna distinzione, il debole è debole, qualunque sia la sua condizione sociale, non ultima quella della perdita dei posti di lavoro, di chi non può permettersi di fare la spesa, non di arrivare alla terza settimana, i figli, la casa; gli ultimi: chi è in mezzo alle guerre, gli emarginati, più di tutti però una preghiera particolare per i bambini "soli", malati, usati, gli ultimi nella scala sociale, quella scala che in questi giorni ai primi gradini vede chi ha "la mangiatoia bassa" ma in basso non guarda mai,
è faticoso, non è conveniente! Se è per farmi veder allora sì!
Quella mangiatoia dove lo stesso Francesco pose a Greccio, il bambinello!
Ma a quanto pare poco insegna.
E come non vedere questa società che è lesta ad inviare col proprio telefonino i due euro , così almeno la coscienza è tranquilla, oltretutto oggi si fa così, no? Un terremoto, un'alluvione, la raccolta per il cancro e via così: ho fatto una buona azione! Quanta ipocrisia! Ma non è lo stesso uomo, che al semaforo manda a quel paese un bambino sfruttato e malato che è li per un centesimo?
E' un fastidio che non si può sopportare. L'uomo !
Il gruppo Apostoli della Divina Tenerezza oltre agli auguri per un sereno 2010, augura che la Tenerezza di Dio entri con prepotenza nei cuori di chi può muovere le cose, di chi non parla solo per il fiato ma siano conseguenza i fatti concreti.
Vogliamo inoltre ricordare che la sera del primo giorno dell'anno
sul 1° canale Rai, è in onda il film:

Chiara e Francesco
Un'occasione per chi non conosce e per chi può e vuole approfondire della vita e opere di due grandi personaggi che Dio ci ha donato.
Affidiamo a Chiara e Francesco con umiltà le nostre preghiere affinchè la società possa ritrovare nella loro luce, la buona strada.
Auguri !
IL GRUPPO APOSTOLI DELLA DIVINA TENEREZZA

ESPRIME DI CUORE GLI AUGURI PER UN


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LA VITA HA UN FINE NON UNA FINE - IV^ PARTE

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Ho iniziato con Elia e la sua accorata preghiera: Prendi, Signore, la mia vita, concludo affiancandogli il venerando Simeone, il quale, dopo che i suoi occhi ormai stanchi hanno potuto vedere la Salvezza d'Israele, rivolge a Dio la pacata implorazione:

Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola (Lc 2,29).

È la preghiera di un sereno vegliardo che verso la fine della vita vede premiata la sua forte fede ed esaudita la sua speranza messianica.

Questi medesimi sentimenti sono ben espressi da un’altra grande figura di donna cristiana, Monica. Dialogando col figlio Agostino “convertito”, confida:

Figlio mio, per quanto mi riguarda, questa vita ormai non ha più nessuna attrattiva per me. Cosa faccio ancora qui e perché sono qui, lo ignoro. Le mie speranze sulla terra sono ormai esaurite. Una sola cosa c'era, che mi faceva desiderare di rimanere quaggiù ancora per un poco: il vederti cristiano cattolico prima di morire.

Il mio Dio mi ha soddisfatta ampiamente, poiché ti vedo addirittura disprezzare la felicità terrena per servire lui. Cosa faccio qui? (Conf. Libro IX).

Per il vero cristiano tutto diviene preghiera, anche la morte, quando sa fidarsi e affidarsi a Dio Padre. Gli santi non solo hanno desiderato morire per essere con Cristo, ma addirittura ad alcuni è stato concesso di conoscere il proprio “dies natalis”!

C'è quindi modo e modo di sospirare quel giorno, certo liberante, ma soprattutto determinante perché, esaudite ed esaurite la fede e la speranza, ci fisseremo nell'amore trinitario. Allora non ci sarà più lamento, pianto, lutto (cf Ap 21,4b), ma unicamente gioia e pace senza fine.

Un giorno arriverà anche per noi la morte, e se avremo combattuto la buona battaglia e conservato la fede, ci attenderà la corona della gloria (cf 2Tm 4,7).

Cosa significherà morire?

Non altro che un nascere, un venire alla luce, dopo la travagliata gestazione terrena. Vita perciò non senza sbocco, disperatamente voluta stroncare prima del tempo fissato, intendendo porre la parola fine solo perché non si è saputo credere nel suo fine e fatto dipendere da Dio il “basta!”.

Nascere, vivere, morire rientrano nel piano di amore di Dio e quindi nel mistero stesso di Dio, che l'uomo deve solo ammirare e rispettare, tanto più quando è chiamato a dare la propria cosciente, gioiosa e responsabile collaborazione, mentre va facendo sue le meravigliose espressioni del Salmo 138:

Sei tu che hai creato le mie viscere e mi hai tessuto nel seno di mia madre.

Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio;

sono stupende le tue opere, tu mi conosci fino in fondo.

Non ti erano nascoste le mie ossa

quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra.

Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro;

i miei giorni erano fissati, quando ancora non ne esisteva uno.

…vedi se percorro una via di menzogna (di morte)

e guidami sulla via della vita (13-16.24).

Prendi e mangia è l'invito che Dio rivolgerà fino alla fine dei tempi, finché sulla terra ci sarà un vivente. Ogni giorno mangia il pane quotidiano per il sostentamento in questa vita e mangia il pane eucaristico per la vita eterna.

Così l'Eucaristia, dopo averci aiutato a “stare in piedi” o a “rimetterci in piedi” per tutto il cammino terreno, ci sosterrà anche sull'ultimo tratto di salita all'Oreb, che - a suo tempo - raggiungeremo - la Casa del Padre, il Regno dei cieli - accolti dal Signore che ci farà sedere alla sua mensa e passerà a servirci (cf Lc 12,37) e sarà festa per sempre!

Suor Josefa - Priora Benedettina


LA VITA HA UN FINE NON UNA FINE - III^ PARTE

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Solo allora torna il sereno nel cuore e nella mente e soprattutto si comprende la fedeltà di Dio che è sempre vicino ad ogni uomo: Ascolta sempre la preghiera del povero, di chi ha il cuore ferito, e salva gli spiriti affranti (Sl 33,19), ma esaudisce in piena sovranità e libertà.

Come già non rimase sordo al grido degli israeliti schiavi in Egitto e volle scendere per liberarli e condurli verso la terra promessa (cf Es 3,7-8), così pure non rimane sordo a nessun’altro gemito proponendo in modi diversi il suo: prendi e magia.

Elia, comunque, si predispone col sonno fisico a quello mortale che ha invocato. Dio viene e interviene: lo scuote da quel pigro torpore e gli comanda per due volte:

Alzati, e mangia. Cioè, Prendi, mangia il cibo che ti tiene in vita... e cammina, perché hai ancora tanta strada da fare; la tua vita non ha concluso il suo corso, la sua missione, soltanto quando Io dirò “basta” allora anche per te “sarà tutto compiuto” (Cf Gv 19,30) e allora all'Amen finale seguirà l'Alleluia eterno!

Su mangia, perché troppo lungo per te è il cammino.

Al modesto “perché” di Elia che lo porta a desiderare di morire, gli sta ora davanti il “perché” di Dio; al “basta”, suggerito dall'umana paura, fronteggia l'incoraggiante “ancora” di Dio.

Con la forza datagli da quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb.

Quando l'uomo - da poveraccio qual è - invoca a modo suo la morte, che vede però solo liberante e non trasformante, quando ai propri o altrui occhi si prospetta la fallimentare visione di sé e della vita, per Dio è invece il momento di “svegliarlo dal sonno” perché si rimetta in piedi...e cammini. Non solo! Gli procura il cibo dei forti: l'Eucaristia: Lui stesso, il Verbo eterno fatto carne in un preciso momento storico per farsi poi pane per la fame dell'uomo di ogni tempo.

Dio può essere abbandonato, ma Lui non abbandona nessuno. In Cristo, suo Figlio, si è fatto compagno di viaggio. A chi accoglie il suo amore di predilezione propone la sua sequela per divenire missionario della Buona Novella del Regno. A tutti, in risposta ai disperati ed incoscienti sos di morte, fa giungere il suo corroborante comando di sicura salvezza:

Alzati e mangia. Prendete e mangiate.... prendete e bevete (Mt 26,26-27). Chi ha sete, venga a me (Gv 7,27). Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò (Mt 11,28).

Allora ognuno di noi con San Paolo può dire:

Dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù in Cristo Gesù (Fil 3,14).

Dichiara infatti con quella franchezza che sempre lo caratterizza: Per me vivere è Cristo e il morire un guadagno (Fil 1,21), perché sa di essere stato afferrato da Cristo ed altro non desidera che raggiungerlo e conquistarlo a sua volta (cfr. Fil 3,9).

Questo ardente Apostolo di Cristo fa anche una curiosa riflessione:

Sono messo alle strette da queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d’altra parte, è più necessario per voi che io rimanga (Fil 1,23-24).

Dello stesso parere è San Martino, Vescovo di Tours, la cui serena fortezza e bonarietà sono messe in luce in alcune antifone della Liturgia delle Ore:

- Signore, se sono ancora utile al tuo popolo, non rifiuto la fatica, sia fatta la tua volontà.

- O uomo meraviglioso! Non lo vinse la fatica, ne lo sgomentò la morte; non ha temuto di morire, non ha rifiutato di vivere.

Ha imitato Cristo che affermò: Mio cibo è fare la volontà del Padre (Gv 4,34): dall'accettare di prendere un corpo (nascere) all'accettare che venisse offerto (morire) per la salvezza dei fratelli. Cibo di cui anche noi, rincuorati dall'esempio suo e dei santi, dobbiamo nutrirci, perché

«sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore» (Rm 14,8b).

Suor Josefa - Priora Benedettina